Diritto penale e discriminazione delle persone LGBTQIA +

Spendenbutton / Faire un don
Gender Law Newsletter FRI 2024#3, 01.09.2024 - Newsletter abonnieren

ITALIA E SVIZZERA: DIRITTO PENALE

Paolo CAROLI, GenIUS, 29 giugno 2024 – più qualche accenno alla situazione in Svizzera da parte della nostra redazione

«Una convinzione molto diffusa nella cittadinanza e spesso (sorprendentemente) anche fra i giuristi, consiste nel ritenere che in Italia - non essendo stato approvato il c.d. D.d.l. Zan1 - la discriminazione dei cittadini lgbtqia+ sia penalmente irrilevante.» Comunque il diritto penale italiano offre alcune risposte alla discriminazione delle persone LGBTQIA+. E in Svizzera?

Paolo Caroli rileva come la giurisprudenza sta progressivamente ricomprendendo nella fattispecie di diffamazione diverse forme di hate speech omofobo. Vi è poi il reato di minaccia. In Italia, contrariamente alla Svizzera, esiste il reato di molestia (o stalking, atti persecutori) ex art. 612-bis del Codice penale italiano, secondo cui è punibile chi «con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita». Laddove quindi l’omofobia spinge anche a comportamenti non occasionali sino a rappresentare una forma di persecuzione, questa norma integra il reato di atti persecutori «(Corte di cassazione, sez. I, 12 ottobre 2018 (dep. 20 marzo 2019) n. 12447), sino a rappresentare una forma di persecuzione, tanto da integrare il reato di atti persecutori [...]».

Vi è per contro un vuoto di tutela in relazione sia ad «alcune forme di discriminazione che di hate speech, le quali non possono essere sussunte in fattispecie penali esistenti. Per poter sanzionare queste forme di omo-transfobia, infatti, i cittadini lgbtqia+ dovrebbero necessariamente essere inseriti nell’elenco dei «gruppi protetti» di cui all’art. 604 bis [del Codice penale italiano].» In caso di discriminazione «pura», punibili risultano soltanto discriminazioni nei confronti di persone appartenenti ad una categoria prevista dalla legge. Lo stesso vale per alcune forme di hate speech (in particolare quando il discorso non è diretto contro un individuo determinato), perché l’omofobia non è compresa nella fattispecie di propaganda e di istigazione a commettere atti di discriminazione, di cui all’art. 604 bis c.1 lettera a) del Codice penale italiano. In Svizzera a tale proposito dal 1. luglio 2020 è in vigore l’art. 261bis del Codice penale svizzero (discriminazione e incitamenteo all’odio), che tra i gruppi protetti comprende anche gruppi o persone discriminate per il loro orientamento sessuale (cfr. Newsletter 2024#2).

La giurisprudenza italiana ha trovato alcune risposte, per esempio riconoscendo diffamazione anche se diretta non contro una singola persona o più persone identificabili, ma contro un soggetto collettivo (movimento LGBT).

Quanto al diritto del lavoro, vi è stata una condanna di un potenziale datore di lavoro «per aver affermato in una trasmissione radiofonica che non avrebbe mai assunto un omosessuale nel suo studio legale».  La condanna è avvenuta in base al decreto legislativo del 9 luglio 2003 n. 216, «che tutela i lavoratori – non solo quelli effettivi, ma anche, in astratto, quelli potenziali – contro le discriminazioni sul luogo di lavoro». In Svizzera, il Tribunale federale, in una sentenza del 5 aprile 2019 per discriminazione nell’assunzione, ha deciso che «In assenza di specificità sessuale non è possibile una discriminazione diretta secondo l'art. 3 cpv. 1 [della Legge federale sulla parità dei sessi] fondata sull'orientamento sessuale» (Newsletter 2019#3).

Nel diritto italiano, così continua Caroli, «Nonostante questi sforzi giurisprudenziali, non si può negare il fatto che il nostro ordinamento non dà una rilevanza specifica alla motivazione omotransfobica come fondamento della risposta penale». In particolare, «quando l’hate speech resta propaganda «pura», cioè si astrae da destinatari specificamente individuabili o non si tramuta direttamente in un’istigazione a delinquere, o ancora nei casi di discriminazione «pura», il nostro ordinamento non reagisce sanzionando la condotta penalmente».

L’articolo prosegue poi con l’analisi della casistica in cui pur non essendo esplicitamente previsto, è stato tenuto conto del movente discriminatorio quale aggravante, per esempio escludendo l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, l’applicazione dell’aggravante dei motivi abietti o futili oppure non concedendo la sospensione condizionale della pena. Per quanto riguarda l’aggravante ex art. 604-ter del Codice penale italiano, la giurisprudenza per contro non è univoca (aggravante se il reato è stato commesso per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso).

L’ultimo capitolo infine è dedicato all’odio online (Odio online e diritto penale impotente?) con i social media che «mettono sotto stress anche le categorie dogmatiche penalistiche» (distinzione tra pubblico e privato; commenti e like ad un post ecc.), senza dimenticare come «l’uso del diritto penale per punire la parola social ponga molti problemi pratici». «Tuttavia, l’uso della parola sui social media potrebbe fornire un’adeguata occasione per una riflessione a monte sul rapporto fra diritto penale e etica pubblica, una discussione possibilmente laica e che sappia coniugare le esigenze attuali di tutela con il pluralismo e con le garanzie fondamentali».

Accesso diretto all’articolo (geniusreview.eu)
Accesso diretto al codice penale italiano, Dei delitti contro la persona (altalex.com)